Quando il contatto su LinkedIn sa di spam travestito da opportunità
Negli ultimi mesi abbiamo notato un trend sempre più diffuso su LinkedIn: contatti appena accettati che, dopo pochi secondi, propongono subito una vendita o un appuntamento commerciale.
Succede anche a voi?
“Ti scrivo perché stiamo cercando agenzie partner…”
“Siamo una piattaforma usata da grandi brand come…”
“Vorrei fissare una breve call per mostrarti…”
Tutto legittimo, per carità. Ma il problema è il timing, e ancora di più, l’approccio.
Troppo, troppo presto
C’è un tempo per ogni cosa, anche nella comunicazione digitale. Se ci conosciamo da due secondi e già mi stai chiedendo di acquistare qualcosa o di fissare una call, stai saltando a piè pari quella fase che rende LinkedIn interessante: la relazione.
Siamo in un contesto che premia lo scambio, l’ascolto, la fiducia costruita con costanza. Quando invece si parte con un messaggio freddo, commerciale, copiato e incollato in serie… la reazione naturale è chiudere la conversazione, o peggio, disconnettersi.
L’illusione della personalizzazione
Il tocco che fa sorridere (amaramente) è quando, per rendere il messaggio più credibile, arriva anche il tentativo di personalizzazione:
“Ho visto il vostro bellissimo progetto X…”
“Complimenti per il sito Y…”
Peccato che il progetto X non esista più da anni e il sito Y sia offline da mesi.
Vuol dire che non ti sei nemmeno preso la briga di verificare. Hai trovato un riferimento obsoleto da qualche vecchia mail o da una lista preconfezionata, e lo hai inserito nel messaggio per fare colpo. Il risultato? Il contrario: perdita di credibilità immediata.
LinkedIn non è un form di contatto
LinkedIn non è un CRM e nemmeno un canale di customer acquisition diretta. O meglio: può diventarlo, ma solo se prima diventa uno spazio di relazione.
Un approccio più rispettoso (e paradossalmente più efficace) sarebbe:
- Entrare in contatto commentando contenuti reali.
- Iniziare uno scambio su temi condivisi.
- Offrire valore prima di chiedere attenzione.
- Personalizzare davvero, dimostrando di aver studiato l’interlocutore.
Un approccio intelligente al marketing relazionale
È quello che parte dal content marketing e dal valore condiviso. Invece di forzare la vendita, punta a costruire fiducia e autorevolezza nel tempo.
Ecco alcuni principi base:
- Dare prima di chiedere: condividere contenuti utili, fare una domanda pertinente, commentare un post del contatto.
- Coltivare la relazione con tatto: lasciare che l’interesse emerga naturalmente, senza forzature.
- Essere genuinamente curiosi: ad esempio, “Mi incuriosisce il vostro approccio alla performance web, possiamo confrontarci su esperienze?”
Chi comunica bene su LinkedIn non cerca scorciatoie: crea contenuti rilevanti, costruisce un dialogo, e solo dopo (quando ha senso) propone un incontro o una collaborazione.
Questo approccio funziona su LinkedIn — che è il social più relazionale di tutti — ma vale anche su qualsiasi altro canale: Instagram, Facebook, newsletter e sì, anche il sito web.
Non serve riempire la pagina di autocelebrazioni o frasi da slogan (“siamo leader di settore”, “i migliori prodotti sul mercato”) per convincere qualcuno. Serve coerenza, concretezza, credibilità. Serve creare contenuti che risolvano problemi, che rispondano a domande reali, che mostrino come si lavora, più che quanto si è bravi.
Il content marketing, in fondo, è questo: dimostrare valore prima di dichiararlo.
Questione di rispetto (e di strategia)
Siamo i primi a credere nella forza del digitale per creare connessioni. Ma ogni strumento è potente solo se lo si usa con intenzione, cura e onestà.
Se ogni contatto LinkedIn diventa un pretesto per vendere, il rischio è bruciare il canale e perdere la cosa più importante nel nostro lavoro: la fiducia.
E poi diciamocelo: se vuoi davvero parlare con noi, magari prima… conoscici.
Siamo Livingston, e per fortuna il nostro sito è ancora online 😉
Curiosità: da dove viene la parola “spam”?
Il termine “spam” nasce da un prodotto alimentare: la carne in scatola SPAM, inventata negli Stati Uniti nel 1937. Era molto diffusa, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Negli anni ’70, i comici inglesi Monty Python fecero uno sketch diventato iconico, in cui in una tavola calda ogni piatto del menù conteneva SPAM, e i personaggi continuavano a ripetere ossessivamente la parola “SPAM!” mentre dei vichinghi cantavano lo stesso ritornello in sottofondo. Del tutto inutile tentare, disperatamente, di ordinare qualcosa senza SPAM.
Da lì, la parola è diventata sinonimo di qualcosa di invasivo, ripetitivo, fastidioso e inutile.
Negli anni ’90 gli utenti delle prime community online iniziarono a usare “spam” per definire i messaggi indesiderati nelle chat e nelle email. Ed è rimasto così fino a oggi.
Quindi sì: quando diciamo “messaggio spam su LinkedIn”, in fondo stiamo evocando un gruppo di vichinghi che gridano “SPAM! SPAM! SPAM!” in coro. E questo, forse, rende tutto un po’ più leggero e divertente.
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