Il digitale rallenta, ma non si ferma: alle aziende non servono nuovi tool. Serve una direzione: scopriamo insieme quale.
Negli ultimi dieci anni — dal lancio di Industria 4.0 al picco di digitalizzazione imposto dalla pandemia — abbiamo vissuto il digitale come una corsa continua.
Più piattaforme, più social, più automazioni, più tutto.
È stato un decennio di espansione rapida: incentivi pubblici, nuove tecnologie, nuove abitudini dei consumatori e un contesto economico che chiedeva alle imprese di modernizzarsi in fretta.
Poi, in silenzio, la curva ha iniziato a rallentare. Non a fermarsi: a cambiare ritmo.
Il Rapporto MET 2023–2024 lo conferma: la digitalizzazione nelle PMI italiane cresce ancora, ma non più con la spinta degli anni post-pandemici. Non è un crollo. È un cambio di fase. La vera notizia è un’altra: le aziende non sono ferme. Sono disorientate.
Il MET parla di digitalizzazione in senso ampio: processi produttivi, organizzazione interna, automazione, gestione dei dati.
Noi, per mestiere, viviamo ogni giorno una porzione specifica di questo scenario: il digital marketing. È lì che vediamo, in modo molto concreto, gli effetti di questo rallentamento: siti non aggiornati, campagne fotocopia, contenuti prodotti “quando avanza tempo”, strumenti attivati ma non governati.
Troppi strumenti, poca direzione
In questi anni molte imprese hanno investito in:
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CRM
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software gestionali
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e-commerce
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piattaforme di advertising
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AI generativa
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automazioni
Ma spesso in modo tattico, non strategico. Il MET lo dice chiaramente: la tecnologia c’è, manca una guida.
E i sintomi li vediamo ogni giorno:
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strumenti che non dialogano tra loro
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dati disponibili ma inutilizzati
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siti web abbandonati a metà
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campagne “di mantenimento” senza un vero obiettivo
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contenuti prodotti solo quando c’è tempo (e il budget praticamente non c’è mai, però per “tutto il resto”, spesso c’è)
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tool acquistati che diventano scatole chiuse
Non è un problema di tecnologia. È un problema di direzione.
Il rallentamento è un bivio, non un allarme
La fase di accelerazione (2019–2022) è stata spinta dall’urgenza: digitalizzare per forza.
Oggi, invece, serve digitalizzare con criterio. Il digitale italiano non è in crisi: sta diventando adulto.
E nel passaggio da “correre tanto” a “correre bene” sta il vero salto competitivo.
Perché oggi il digitale rallenta? (secondo il MET)
1. Investimenti frammentati
Ogni reparto ha scelto il proprio tool. Risultato: un mosaico difficile da governare.
2. Competenze interne insufficienti
Il MET lo definisce un “collo di bottiglia”: gli strumenti ci sono, ma non si sanno usare a pieno.
3. Aspettative sbagliate
Durante la pandemia il digitale sembrava una bacchetta magica. Ora è chiaro: funziona solo con metodo e continuità.
4. Sovraccarico di piattaforme
Più strumenti non significa più risultati. Anzi: spesso è il contrario.
Quello che serve oggi alle PMI è una cosa sola: una direzione unica
Non l’ennesimo software, non la prossima piattaforma “che fa tutto da sola”.
Quello che oggi fa davvero la differenza è:
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un piano digitale coerente
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un ecosistema che funziona insieme
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un sito che non è un volantino, ma un asset
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contenuti che parlano alle persone giuste
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KPI sensati, misurati nel tempo
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campagne che seguono una strategia, non un’urgenza
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processi, non reazioni
Il MET lo chiama integrazione verticale della trasformazione digitale: la capacità di far lavorare le tecnologie come un’unica macchina.
Il nostro lavoro, oggi, è soprattutto questo: dare direzione
Ogni giorno incontriamo imprese che hanno tutto: strumenti, volontà, risorse… ma non hanno un filo conduttore.
E la differenza tra un digitale che “funziona” e un digitale che “cresce” è tutta lì.
Aiutiamo le PMI a:
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mettere ordine
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connettere i dati
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scegliere cosa fare davvero, e cosa no
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costruire percorsi
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dare coerenza
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mantenere la continuità
Non serve correre più veloci. Serve correre nella direzione giusta.
Il digitale non si è fermato. Sta aspettando chi lo guida.
Il rallentamento segnalato dal MET non è necessariamente un limite: è una fase di maturità.
Un invito a scegliere, a progettare, a costruire un sistema, non una somma di strumenti. Le tecnologie ci sono. Le opportunità anche. Quello che serve oggi è una guida chiara, un approccio coerente e un metodo che tenga insieme le cose.
Il digitale non si è fermato.
Sta solo aspettando che qualcuno trovi il coraggio di ammettere una verità semplice: non basta “avere un’idea chiara” per farlo funzionare davvero.
Molte PMI si sentono sicure — a volte fin troppo — grazie a quella strana magia chiamata effetto Dunning-Kruger: più poco conosci, più ti sembra tutto semplice. Complici due Reels di “esperti” e dieci minuti passati su Canva, il digitale improvvisamente appare ovvio, lineare, quasi scontato. “Ho capito, è facile.” E poi si scopre che no, non era proprio così.
Non è un difetto, è umano. È il meccanismo naturale che scatta quando il problema sembra più semplice di quanto sia davvero.
Succede in tutto: nel marketing, nella tecnologia, nei processi, persino nella comunicazione interna.
La verità è che il digitale ha bisogno di un’altra qualità: la consapevolezza di non dover fare tutto da soli.
Serve la volontà di mettere ordine, di scegliere una direzione, di costruire un percorso coerente. E questa volontà — quando viene accesa e accompagnata — le aziende ce l’hanno.
Bisogna solo aiutarle a vedere il digitale per quello che è davvero: non una scorciatoia, ma una strada da percorrere con metodo.
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