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Contenuti, contesti e pubblico

Contenuti, contesti e pubblico

Marco Aurelio, imperatore a cavallo, come simbolo di: Il Contenuto è il Re

I Re, le Regine e i loro sudditi

Il mantra del marketing basato sui contenuti (content marketing) è sempre stato: “Content is King”, “Il contenuto è il Re”.

Contenuto, interesse, fiducia

 Perché è il contenuto che genera l’interesse del lettore. È il contenuto che crea una relazione di fiducia. Torno a visitare quel sito, quel blog, quel magazine online, perché i loro contenuti mi interessano e nel tempo diventa una sorta di positiva e sana abitudine andare a leggere cosa hanno scritto di nuovo.

In una relazione di fiducia, le sensazioni sperimentate sono positive e il desiderio di tornare a provarle alimenta un legame, destinato a durare nel tempo.

A proposito: secondo alcuni la Fiducia, è la Regina… Ma ora non starei lì ad analizzare tutta la casata. Fermiamoci qui. Di Conti, Contesse, Duchi e Marchesi, per il momento, non ne parla nessuno.

Titoli nobiliari a parte, quello che ci interessa tenere a mente è che il contenuto, senza dubbio, è la materia fondamentale di cui è fatta la comunicazione online; lo resterà, penso lo diventerà ancora di più, con il passare del tempo. 

Il contesto 

Secondo molti il trono inizia, però, a vacillare e il nuovo monarca, dal potere assoluto, sarà il contesto.

Per esempio, la posizione in cui verrano visualizzati gli annunci, o una qualsiasi forma di anteprima o di link ad un contenuto, già ora è importante almeno tanto quanto il contenuto stesso. 

Il targeting contestuale sui siti di notizie sarà parte di questo nuovo potere
Attraverso il targeting contestuale, i marchi possono e potranno scegliere direttamente le notizie a cui vogliono essere accanto, così come le pubblicazioni a cui vogliono essere associati.

Cosa succede se sei “fuori contesto”

Il valore del contesto lo capiamo subito (a ancora meglio) se facciamo riferimento a fatti ed episodi che appartengono al mondo off-line.

Joshua Bell, direttore dell’Accademy di St. Martin in the Fields (famosissima orchestra americana), uno dei migliori talenti del mondo della musica classica, ha condotto un esperimento. Ha sfoggiato le sue abilità e qualità musicali in una stazione della metropolitana di Washington.
Quasi nessuno si è fermato anche solo per un istante ad ascoltarlo suonare il suo violino; figuriamoci, poi, se qualcuno ha riconosciuto il suo indiscutibile talento superiore.
A conti fatti, su 1.097 persone che sono passate davanti a Bell, solo 27 hanno dato soldi e solo sette si sono fermate ad ascoltarlo per un certo periodo di tempo, superiore ad una manciata di secondi.

Come mai? Il motivo è che il genio musicale di Bell è stato collocato fuori dal contesto abituale, in un luogo inconsueto (per quel tipo di abilità e professionalità), dove i visitatori non sospettavano e non si aspettavano di avere le orecchie cullate da melodie rilassanti, in contrapposizione al consueto, monotono e molesto sferragliare quotidiano dei treni.

Questa idea di contesto, ben comprensibile se pensiamo agli scenari presenti nel mondo fisico, è altrettanto rilevante ed evidente nel mondo del marketing digitale.

Il contesto è il nuovo re della pubblicità: ciò che circonda i vostri annunci sulla pagina, così come il momento in cui vengono presentati, è importante tanto quanto il loro contenuto.

Il contesto sul Web e sui Social

Prendiamo ad esempio i social media: negli ambienti social, gli annunci possono essere inseriti accanto a contenuti generati dagli utenti (UGC – User Generated Content) che i marchi non possono controllare, possono essere saltati quando vengono presentati prima di un video che qualcuno vuole davvero vedere o, nell’ipotesi peggiore, sono collocati in un ambiente del tutto irrilevante, pronti ad essere bellamente ignorati.

Ignorati, non solo per semplice disinteresse, ma per un meccanismo che fa leva su sentimenti molto più profondi. È la mancanza di fiducia che si trasforma in disinteresse per quel contenuto.

Nonostante la popolarità delle piattaforme di social media uno studio del 2020 di Kantar ha rilevato che solo il 17% dei consumatori afferma di fidarsi degli annunci sui social media.

La questione della fiducia nei confronti di un brand è stata particolarmente rilevante nel bel mezzo della ben nota pandemia globale: una ricerca del Trustworthy Accountability Group ha rilevato che oltre l’85% dei consumatori afferma che ridurrebbe o interromperebbe l’acquisto di prodotti da marchi che utilizzano regolarmente, se soltanto vedesse il loro annuncio pubblicato successivamente a una teoria della cospirazione Covid-19, o all’interno di un contesto di informazione non verificata o valutata come priva di autorevolezza e correttezza.

Il problema del contesto esiste ed è reale, e per quanto detto, non va minimamente sottovalutato. Il contenuto resta, in ogni caso, il principale generatore della fiducia. Il contenuto deve essere in grado di far percepire l’azienda come affidabile.

Il pubblico giusto 

Corollario e compagno di viaggio del contesto è il pubblico: il pubblico giusto.

Un’opzione realistica per il marchio, che può integrare l’attività di sponsorizzazione dei contenuti sui social media, è inserire gli annunci nel contesto dei siti di editori premium. Gli annunci, inseriti nei siti di notizie, sono ospitati in un ambiente affidabile e consentono agli inserzionisti di controllare l’ambiente circostante i propri annunci.
I siti di notizie spesso offrono un rapporto qualità-prezzo maggiore rispetto alle piattaforme social.

In questi ambienti coesistono il contesto giusto e il pubblico giusto.

I sistemi per individuare il pubblico giusto: cookie e privacy

Al di fuori di questi spazi, in cui è possibile fare una scelta oculata e, si presume, sempre più precisa, cosa succederà?

Su gran parte del Web, gli inserzionisti si sono affidati quasi esclusivamente a fonti di dati di terze parti, per aiutarli a raggiungere il pubblico giusto: sarà sempre più difficile andare avanti, utilizzando queste tecnologie.

Stiamo assistendo a grandi passi avanti verso la protezione della privacy degli utenti, inclusa la progressiva eliminazione dei cookie di terze parti (che sono dei piccoli file di testo che ci permettono di dire alle piattaforme pubblicitarie: “Hey, Tizio e Caio hanno visitato siti che parlano di cura del verde. Il post promosso, l’inserzione, del Vivaio xxx, allora, può fare al caso loro”).

Vi è una progressiva limitazione della quantità di dati personali a cui possono accedere gli inserzionisti. Un discorso che è, attualmente, in piena fase di evoluzione. I colossi dell’Advertising on line, Facebook e Google in testa, stanno già studiando le loro contromosse, dal punto di vista della tecnologia. È cosa nota che le ultime versioni di iOS, il sistema operativo dei dispositivi mobili di Apple, richiedono esplicitamente all’utente se concedere il permesso di tracciare le sue abitudini di navigazione; e di rilevare di conseguenza, i suoi gusti e i suoi interessi.

Google sembra prontissima a varare il Privacy Sandbox, un sistema che imposterebbe preventivamente, in Chrome, la negazione del consenso sul rilascio dei cookie, durante la navigazione sul Web.

I cookie, val la pena ricordarlo, sono considerati dati personali perché il loro rilascio conseguente al normale utilizzo browser, con il quale un utente naviga il web, potrebbe, in linea teorica, consentire l’identificazione dell’utente stesso: ecco perché sono soggetti al consenso. Ecco perché l’attenzione sull’uso di questo tipo di strumenti si è innalzata esponenzialmente, negli ultimi anni.

Il futuro oltre i cookie, non è la fine del mondo

Quanto sta succedendo ha già un nome, piuttosto significativo. Sarà il Cookie Armageddon. Agli addetti ai lavori piace molto chiamare le cose con nomi delicati e per nulla altisonanti.

Si tratta in effetti di un cambio epocale, ma l’Armageddon potrebbe davvero essere scongiurato, se si farà reale attenzione ai componenti delle monarchie, di cui parlavamo poco fa.

Produrre contenuti curati, che generano fiducia e interesse per un certo tipo di pubblico. Inserirli negli spazi giusti (il contesto), potrebbe rivelarsi, nel tempo, ben più efficace dei sistemi di tracciamento basati sui cookies, che sono stati fino ad oggi la base per individuare, appunto pubblico e contesto.

Saranno l’esperienza, la passione e la cura (è troppo dire l’amore?) nello scrivere i testi, nel produrre infografiche, video, immagini, a risultare decisivi.

Serviranno anche un po’ di conoscenze tecniche, perché no, per trovare i temi “caldi” di cui parlare.

Servirà ancor più di oggi, fare una ricerca sui temi che saranno alla base dei nostri contenuti. Potremmo partire da un argomento definito da una parola chiave: come se iniziassimo a documentarci su quell’argomento con una ricerca in Google.

E poi approfondire la nostra ricerca con operatori di ricerca avanzati, come, ad esempio:

  • “parola chiave” + inurl:links;
  • “parola chiave” + inurl:notizie;
  • “parola chiave” + intitle:risorse;
  • migliori blog di “parola chiave”.

Riusciremo, con questi ed altri strumenti, a creare una mappa concettuale coi temi rilevanti, rispetto ad un determinato argomento. 

Osservando le reazioni reali dei lettori, saremo in grado, forse ancora più di prima, di capire che cosa i nostri lettori vogliono leggere, cosa li affascina, cosa li “costringe”, come dicevamo all’inizio, a tornare sul luogo del “delitto”, per leggerci ancora.

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