Le parole vanno trattate con cura e rispetto, vanno maneggiate con cautela e usare quelle giuste è fondamentale per costruire storie coinvolgenti.
Come gli ingredienti vanno scelti e dosati per creare la ricetta perfetta.
Una cosa è dire “brutto”.
Ben diverso è utilizzare: spiacevole, ignobile, rivoltante, nauseabondo, mostruoso, laido, meschino, debole, vile, asimmetrico, schifoso, osceno, spaventoso, rozzo, insulso, inguardabile, improponibile, abominevole, indecente…
E il suo esatto contrario: la parola “bello”?
Sembra una parola facile, familiare, eppure nasconde insospettabili insidie.
Del bello, infatti si possono dare, infinite declinazioni, che creano paesaggi emozionali completamente diversi.
Bello è ciò che è gradevole esteticamente, perché armonioso o sensuale; bello è anche ciò che ci attrar, soggettivamente, perché piacevole e allegro; bello è ciò che è notevole e ingente (come “una bella somma”) e spesso si sovrappone e non è possibile distinguerlo semanticamente da ciò che è buono.
Gianni Rodari, in Grammatica della Fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie (Einaudi 1974), scrive:
“La singola parola (gettata lì a caso, con la sua forza evocativa di immagini, ricordi, fantasie, personaggi, avvenimenti del passato…) agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe ad uscire dai binari dell’abitudine,a scoprire nuove capacità di significato. Una storia può nascere solo da un binomio fantastico.”
E allora, per sperimentare nuovi percorsi narrativi, possiamo iniziare ad accostare parole lontanissime tra loro, dal punto di vista semantico.
Un corto circuito di idee che crea qualcosa di nuovo, di inaspettato, di attrattivo.
Vediamo un esempio tratto da Storytelling for Dummies di Andrea Fontana (Hoepli, 2017)
Ecco nove parole, che non hanno alcun nesso tra loro:
- Televisione
- Anello
- Pioggia
- Gorilla
- Doccia
- Marinaio
- Cacciavite
- Fantasma
- Motocicletta
Scegliamone 3.
1, 7 e 6
L’ha sentito dalla televisione, mentre si lavava le mani in bagno. Anna Loiacono, un’anziana residente in via Melchiorre Gioia 47/B a Milano, è stata da poco trovata morta nella propria abitazione dal figlio. Sul corpo, numerose ferite da punta. Le sue mani sono pulite, ma il sangue dal cacciavite non va via, specie dalla base del manico. Lo sa, lo sa: aveva detto che non l’avrebbe fatto più, ma era una promessa da marinaio. Uccidere gli piace troppo.
1, 3, e 2
Avevo cinque anni, come fosse adesso. Mi rivedo in quel ricordo. Con la nonna e il nonno – che mi hanno cresciuto – a guardare la televisione. Fuori la pioggia accompagna la fine di un giorno di novembre. Dentro è calore, protezione, accoglienza, casa. È quel giorno che ho imparato ad amare.
Adesso ci sei tu, qui, di fronte a me. E questo anello che voglio darti come promessa del nostro destino. Perché ti amo.
Vediamo una terza microstoria e immaginiamoci anche come rappresentarla a livello visivo, prima su Facebook, poi con una Instagram Story.
5, 8, 9
Per me la doccia, come per molti altri della mia generazione, è un controluce in bianco e nero con un coltellaccio da cucina che appare all’improvviso.
Per chi è appassionato di cinema, la scena principale di Psycho di Alfred Hitchcock, è molto probabilmente rimasta indelebile, nella memoria.
In quell’albergo perso in mezzo alla campagna, come non pensare al famigerato Motel del film?
Almeno ero arrivata in motocicletta, il che segnava una netta differenza tra me e la protagonista del film, sul cui percorso di fuga dalla città, in automobile, le prime sequenze del film indugiavano a lungo.
Nonostante ciò, il fantasma di Norman Bates aleggiava su di me, non solo nella doccia, appunto, ma anche mentre dalla porta socchiusa, spiavo il cuoco, che armeggiava e faceva roteare lunghissimi coltelli. Innocentemente affettava la verdura con affascinante ed ipnotica maestria, per poi servirmi un minestrone il cui indescrivibile sapore mi faceva istantaneamente dimenticare le tinte cupe di Psycho, per proiettarmi nei toni accesi di un film in Technicolor.
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